Tenebra luminosissimaDio nell'oscurità del dolore

AUGUSTO FUMAGALLI

«A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio» (Mt 27, 45).

Le tenebre assumono spesso diversi significati: sono simbolo del peccato, della cecità, della perdizione e dell’ignoranza.

All’interno però della Scrittura possono assumere anche un valore differente e positivo: sono segno della teofania, della manifestazione di Dio. Pensiamo all’incontro tra Mose e Dio sul monte Sinai (Es 19): è Dio stesso che annuncia la propria venuta “in una densa nube”; nel libro di Daniele (7,13) viene presentata una figura “simile a un figlio d’uomo” che viene con le nubi del cielo, parole che saranno riprese da Gesù durante il processo (Mc 14,62); anche nel libro dei salmi (Sal 96) si parla di nubi e tenebre che avvolgono il Signore; da ultimo nel racconto neotestamentario della Trasfigurazione di Gesù, compare una nube dalla quale la voce del Padre glorifica Gesù (Mt 17,5).

Quando siamo immersi nel dolore e nella prova, se cerchiamo di trovare un senso, una motivazione ed una giustificazione, giungiamo a darci risposte vuote, banali, che in definitiva non rispondono. Il male sfugge ad ogni nostra possibilità di comprensione, accade e basta; persino la pia illusione di pensare che “c’è chi sta peggio di me” non rimuove la sofferenza che sperimentiamo, ma al massimo la cela goffamente.

Una delle domande maggiori che in tali momenti assillano la mente di credenti o confermano i lontani dalla fede nel loro ateismo, è dove sia Dio e perché permetta il male e la sofferenza del giusto. La pretesa di capire e definire, propria dell’uomo, ottiene maggior vigore quando ciò che si vive provoca dolore e si comprende essere inspiegabile, investendo pure la realtà di Dio. Questo accade anche sul Calvario, quando i discepoli sono sgomenti e risulta impossibile comprendere come quell’Uomo accolto festosamente pochi giorni prima, conosciuto per i molti prodigi compiuti, ora sia affisso ad una croce.

Le tenebre sono immagine del mistero, del momento in cui viene meno all’uomo la capacità di vedere, eppure nei passi biblici che abbiamo ricordato, sono proprio esse a fungere da premessa necessaria perché Dio si riveli all’uomo. Anche quel giorno sul Golgota accade questo: quando gli eventi si susseguono frenetici, senza donare la possibilità di comprensione di quanto che accade; quando l’atteso Liberatore di Israele viene inchiodato ad una croce e deriso dal proprio popolo, Colui che si proclamava Figlio di Dio, muore come il peggiore dei delinquenti. Di fronte a questo Nazareno le menti sono confuse, non solo quelle degli Israeliti del tempo, ma anche le nostre: c’è un qualcosa di incomprensibile in tutto quello che accade nel giro di otto giorni, dall’unzione di Betania alla risurrezione. Le tenebre indicano proprio questo: l’impossibilità dell’uomo di comprendere. Ma è proprio quando l’uomo depone le proprie pretese di argomentazione, che Dio può finalmente rivelarsi.

Nell’opera Theologia mistica, lo pseudo Dionigi Areopagita chiede alla Trinità di condurre i cristiani alla cima «dove i misteri semplici, assoluti ed immutabili della teologia vengono svelati nella tenebra luminosissima del silenzio che inizia all’arcano; là dove c’è più buio essa fa brillare ciò che è oltremodo risplendente».

Ecco cosa accade sul Golgota: Dio, mistero assoluto, si rivela pienamente all’uomo, ma lo fa in un modo che per la creatura è inconcepibile, ossia morendo straziato dalle sofferenze. Questa è la cima dove l’uomo, deposta ogni pretesa raziocinante, è immerso in una tenebra che è al contempo luce, depone la propria volontà di comprendere ogni cosa e lascia che l’Ineffabile accada. Non c’è nulla da capire nella morte di Cristo, ma solo il pieno Amore nella sua alta verità da contemplare e da cui lasciarsi rivestire.

«Quanto più alziamo lo sguardo verso l’alto – scrive Dionigi – tanto più i discorsi vengono contratti dalla contemplazione delle realtà intelligibili; nel momento in cui penetriamo nella tenebra superiore dell’intelligenza, noi troviamo non più discorsi brevi, ma la totale assenza di parole e di pensieri». Di fronte al Dio crocifisso vengono meno le parole, silenzio e tenebra son le sole vie che possiamo percorrere, o meglio, le sole vie per le quali il Salvatore si rivela a noi. Nell’oscurità del dolore, della sofferenza incomprensibile, quando ci si trova di fronte all’assenza di senso, al male ingiustificato e ingiustificabile, in quel momento solo silenzio e tenebre ci circondano: le nostre muraglie di difesa, la nostra volontà di potenza, le nostre pretese raziocinanti crollano; così, nella debolezza che è fortezza (2Cor 12,10), Dio può finalmente mostrarsi a noi nella sua Verità. E allora, con Dionigi, preghiamo in questo giorno santo «per trovarci anche noi in questa tenebra luminosissima, per vedere tramite la cecità e l’ignoranza, e per conoscere il principio superiore alla visione e alla conoscenza proprio perché non vediamo e non conosciamo».