Gustare la quotidianitàIl valore dell'attesa
Tempo di vendemmia, tempo di riscoprire come vivere il quotidiano, contro la tentazione del tutto e subito
In epoca romana, il 19 agosto gli abitanti del Lazio celebravano una festività chiamata Vinalia rustica durante la quale si sacrificava a Giove per propiziare l’abbondanza della vendemmia incipiente. Questa occasione era immagine della fervente attesa che animava coloro che si apprestavano a raccogliere gli acini d’uva da cui sarebbe sgorgato il vino nuovo.
Tale attesa, si potrebbe dire “stare in sospensione”, la si rivivrà di nuovo gustando per la prima volta il vino; come al ristorante quando il cameriere mesce il primo sorso di vino, perché venga assaggiato e se ne confermi la preziosità: è il momento in cui avviene una sorta di epochè, la “sospensione del giudizio”, e si attende che il gusto pervada la nostra bocca.
E quando il vino è particolarmente buono, con un gusto davvero prelibato, colui che lo ha assaggiato rompe l’attesa silenziosa del commensale esclamando “davvero molto molto buono!”; si può così iniziare a gustarlo pienamente e a lasciare che esso rallegri la mensa.
La metafora del vino e della vendemmia ci rimanda alla nostra vita in generale, alla quotidianità vissuta nell’attesa di qualcosa che ci colga, scuota la nostra quotidianità e ci stupisca. Molte volte oggi però ci accorgiamo che non siamo più capaci attesa, ma tutto ciò che desideriamo dobbiamo ottenerlo immediatamente; questa incapacità che si traduce nell’assecondare subito ogni desiderio ci rende non solo incapaci di capire cosa davvero valga la pena di esser desiderato, ma provoca in noi anche la morte del desiderio stesso. Esso infatti si dà nel tempo, nello svolgersi dell’attesa e più aumenta il tempo, più cresce di intensità il desiderio (se però lo sappiamo preservare dalla resa all’abitudine dell’assenza): oggi purtroppo sembra che noi, figli di Amazon e Ibs, siamo disposti a perdere tutto questo.
Commenta don Tonino Bello:
«Il mondo ci ha rubato la capacità di trasalire. Non c’è rapimento negli occhi. Siamo stanchi di aguzzare la vista, perché non ci sono più arrivi in programma. Vittime della noia, conduciamo una vita priva di estasi».
Quello che accade con le cose e gli oggetti, finisce poi per accadere con noi stessi e con gli altri: perdiamo la capacità dell’attesa, la capacità della novità, di restare disarmati nell’attesa che qualcuno voglia entrare in casa nostra e condividere il nostro pane (compagno=cum panis).
L’immediato appagamento di ogni volontà o pseudo-desiderio ci porta ad esser sempre più centrati su noi stessi, in un vizioso cerchio egoistico che finirà poi per diventare quelle mura, baluardo invincibile, che ci separano dagli altri i quali divengono nemici, perché si frappongono tra noi e l’oggetto del nostro volere. Su questa via si giunge poi non solo a chiudersi narcisisticamente su noi stessi, a vedere negli altri dei nemici, ma anche a trattarli come oggetti che vengano e soddisfino la nostra volontà. Ma oggi non attendiamo più nulla, perché non c’è nulla che accenda il nostro cuore e lo faccia ardere; l’attesa implica il sacrificio, e troppe volte noi lo temiamo.
È necessario riscoprire il valore dell’attesa, perché possiamo essere educati al desiderio. Solo se nella nostra vita saremo capaci di attesa, se avremo desiderio di qualcosa/qualcuno allora la novità potrà finalmente penetrare dentro le mura delle nostre paure. Solo se lasceremo cadere le nostre barriere protettive, se smusseremo gli angoli delle nostre fissazioni, se sapremo investire il tempo nell’attesa che giunga ciò che dà pienezza e senso alla nostra vita, allora troveremo la gioia.
La gioia che il buon vino dà può esser accolta solo da chi l’ha aspettata: solo chi ha riempito di attesa gli attimi dell’epochè sa accorgersi della bontà del vino. Solo dove c’è attesa, c’è gioia!