Shomér, Ma Mi-Llailah?Ascoltando Francesco Guccini

Shomér ma mi-llailah – sentinella, quanto resta della notte? A noi il compito di decidere la risposta


AUGUSTO FUMAGALLI

Nel 1983 Francesco Guccini pubblicò un album contenente  un testo che prende spunto dal libro del profeta Isaia (21,11-12): “Sentinella, quanto resta della notte?”. 

Nello sviluppo di questa canzone, il cantautore scrive: 

Sono da secoli, o da un momento
fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento
angoscia o pace

Queste parole sono della sentinella che attende lo spuntare del giorno, ma possono essere anche quelle di ogni uomo che  è “gettato” nel mondo, nell’esistenza. L’uomo, scrive Heidegger, “ha da essere sul nullo fondamento di sé”: l’uomo deve vivere una vita che non ha assolutamente scelto di vivere, che non si è cercato e non ha voluto. 

È comprensibile che in questa situazione si crei un vuoto ed un silenzio che generano in noi una confusione: questa vita che non ho cercato mi fa sperimentare a volte angoscia e a volte pace. Perché? Perché questo è il dramma della libertà: l’uomo è una libertà vincolata, che non è origine di se stessa, ma è stata creata da altro, è stata posta dall’esterno. La realtà della nostra vita, come sostiene Pareyson, è appesa alla libertà e proprio per questo può essere vista sotto due punti di vista: gratuità o infondatezza. 

La vita come un peso

che noi non siamo origine di noi stessi, cioè che la vita ci sia imposta, che la nostra libertà sia vincolata, può generare il senso di angoscia che Guccini descrive nella canzone. La vita è vista come una condanna, un peso che si è costretti a portare, un dovere oneroso da assolvere. Ma chi me lo fa fare di esistere? Su cosa si fonda la mia esistenza, la mia vita? È il vecchio rimpianto di Giobbe che avrebbe preferito passare direttamente dal grembo materno alla tomba; è il grido di Sofocle “meglio non esser nati”; è l’atroce pianto di un uomo che riesce a vedere solo ciò che gli manca, il fondamento che non vede ma c’è. Finché l’uomo cerca dentro di sé il proprio fondamento, in modo narcisistico ed autocentrato, non lo troverà mai e se ne starà per sempre a crogiolarsi nella propria angoscia esistenziale: è un prendere la libertà e vanificarla, renderla sterile, un decidere di rendere nulla il proprio essere. 

La vita come progetto

Chi sa uscire da se stesso, riconoscersi come frutto di un amore e di un progetto, allora sa guardare alla vita come ad un dono. Certo che la nostra libertà non è fondata in se stessa, certo che alla vita siamo “condannati”, ma è proprio così negativo? Se proviamo a cambiare il punto di vista possiamo riconoscere che la vita ci è “posta” nelle mani, ci è affidata gratuitamente. Serve un grande atto di umiltà per decentrarsi da se stessi, dalla propria vita e riconoscersi come provenienti da altri; ma è l’unica chance che abbiamo per poter passare dall’angoscia alla pace, per prendere in mano la propria libertà e farla fruttificare. 

Scegliere quotidianamente

Pareyson definisce la realtà come un oggetto sia di estasi che di sgomento, la libertà come capace di affermarsi e confermarsi, ma anche di negarsi e di perdersi: l’uomo si smarrisce in queste ambiguità. La libertà viene ad assumere allora i tratti di una scelta da fare ogni giorno daccapo; Dostoevskji, nella Leggenda del grande inquisitore, descrive molto bene la tragedia della libertà, la difficoltà con cui gli uomini ne sopportano il peso e che spesso la depongono ai piedi di qualcun altro. La scelta positiva e responsabile della libertà è però l’unica via che possa dare concretezza alla realtà di noi stessi, che possa realizzare il nostro essere; per poterla scegliere è necessario riconoscerla come un dono, guardare alla vita stessa con gratuità e come frutto di un progetto, ammettere di non essere noi l’origine e il fondamento di noi stessi: devi vivere per un altro, se vuoi vivere per te, dove il “per un altro” indica non solo il fine, ma anche la causa del proprio esistere. 

Ecco dunque le voci eterne di coloro che abitano la storia accanto a noi: shomér ma mi-llailah – sentinella, quanto resta della (tua) notte? A noi il compito di decidere la risposta a questo interrogativo esistenziale: investo la mia libertà o rendo nulla il mio essere?